venerdì 27 dicembre 2013

Querce e fiorellini di campo

Lucio Dalla, Alberto Bucci, Augusto Binelli.
Cari amici, con l’occasione di augurarvi un buon anno nuovo, vorrei parlarvi di un personaggio sportivo che non ha niente a che a vedere col mondo del calcio. Si tratta di un grande allenatore di basket ovvero Alberto Bucci.
Devo confessarvi che non sono un appassionato di pallacanestro, ieri guardando la trasmissione E’ sempre calciomercato su Sky sport, ospite in studio c’era questo grande allenatore, mi hanno impressionato alcune cose che ha detto.
Per chi non è esperto, come me di basket, presento il personaggio. Alberto Bucci è stato uno tra gli allenatori più giovani ad esordire in questo sport, ha cominciato ad allenare all’età di  venticinque anni, non avendo mai giocato a basket. Ha allenato a Bologna, Livorno, Verona, Pesaro, Rimini, tutte piazze importanti. Con la Virtus Bologna ha centrato i maggiori successi, epici i suoi duelli con Dan Peterson nella panchina di Milano.
Nel suo Palmares annoveriamo tre campionati, quattro coppe italia ed una supercoppa italiana.
Personaggio eccentrico, alcuni se lo ricorderanno per quelle sue giacche dai colori più improbabili, il vocione e l’aspetto un po’ burbero.
Ieri ha parlato anche di calcio, soffermandosi sulla gestione dello spogliatoio da parte di un allenatore, lui avrebbe sbattuto fuori squadra un suo giocatore che si fosse permesso di gettare a terra in segno di stizza la propria maglia, riusciva a coinvolgere tutti i giocatori della rosa, per esempio spiegava uno schema e poi domandava se qualcuno avesse dei suggerimenti da proporre, così lo schema diventava anche del giocatore che lo avrebbe messo in pratica con più attenzione, perché era diventato anche cosa sua.
Diceva che non c’era peggior bestia nella vita dell’indifferenza, ripeteva ai suoi giocatori che fino a quando gli urlava contro si potevano ritenere fortunati, il peggio sarebbe venuto quando non gli avrebbe urlato più.
Insomma, tutti aneddoti interessanti, ma anche un po’ comuni nel mondo dello sport. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato quando disse che stava affrontando un ciclo di chemioterapia, l’ha dichiarato come se avesse un raffreddore da curare, in studio erano rimasti tutti colpiti. Non aveva paura, in fin dei conti non era preoccupato, ognuno di noi ha un ruolo in questa vita, non è importante quanto si vive, ma il modo. Ed ha fatto un esempio bellissimo, disse, guardate come sono belle le querce secolari, alberi maestosi, con le loro fronde, ma al contempo sono anche belli i fiorellini di campo che stanno ai suoi piedi, piccolini fragili, ma che ci danno tanta gioia nel coglierli e nel sentire i loro profumi. 

Chapeau Mister Bucci, ieri ci hai insegnato qualcosa di più importante di uno schema vincente, ci hai ricordato che bisogna sempre lottare nella vita e non dare mai nulla per scontato. Un messaggio importante per chi in questo momento sta soffrendo o si sente schiacciato dalla vita. MAI MOLLARE RAGAZZI!

mercoledì 18 dicembre 2013

Buio a San Siro...

La foto non ritrae un tifoso che scopre i nomi del prossimo mercato invernale, ritrae un'opera, l'ho scattata al museo di arte moderna Gulbenkian di Lisbona

Una volta erano le luci ad illuminare San Siro, le luci delle stelle dei giocatori che solcavano quei campi, i vari Baggio, Weah, Ronaldo, Eto’o.. ho capito mi fermo perché a qualcuno sta venendo la malinconia solo a sentirli nominare. I tempi sono cambiati, siamo in piena crisi economica ( e che crisi direbbe qualcuno ) i campioni sono difficile da prendere. Una volta eravamo il Paese di quelli che riuscivano ad arrangiarsi, dilaniati dalla guerra siamo riusciti a diventare la quinta o quarta potenza industriale del mondo, grazie al nostro modo di reinventarci, al nostro estro, vi ricordate il film Pane amore e fantasia? Ecco appunto, avevamo la fantasia, abbiamo fatto del made in italy un marchio, siamo stati la patria del design. Eravamo i più furbi, con poche risorse riuscivamo ad essere davanti a tutti, perché non eravamo mai banali, avevamo il gusto per il bello, pensate alla Ferrari, alle grandi case di moda, ai nostri prodotti alimentari, ai nostri artisti. E’ una cosa insita in noi la creatività come in noi è, ahinoi, la furbizia, il menefreghismo e tante altre cose negative. Il calcio era anche il nostro fiore all’occhiello.
Mi chiedo perché, non si riesce a costruire qualcosa di buono, ad inventarci un nuovo modello di gestione delle squadre di calcio, che rilanci il sistema?
Inter – Milan oggi non è più calcio, o meglio non più quello scritto con la C maiuscola, qua non si pretende di vedere sfidarsi in campo Shevchenko e Djiorkaeff, ma nemmeno di assistere ad un incontro tra medianacci con due ferri da stiro al posto dei piedi. Domenica il centrocampo delle milanesi sarà composto da Taider Cambiasso Kuzmanovic, Muntari De Jong Poli. Fatto salvo il povero Cambiasso ( che sta dando l’anima per la sua squadra, e che avrebbe bisogno di un degno ricambio per rifiatare ogni tanto ) cosa ci facciano a San Siro per un derby gli altri è un mistero.
 I soldi non ci sono più ok, ma gli errori ci sono sempre, e a quanto sembra dalle voci del mercato invernale continueranno. L’inter oggi potrebbe avere in casa una rosa di livello dell’ajax a costo quasi zero. Ricambi e inserimenti di buon livello con altissimi margini di miglioramento, se facciamo la lista di tutti i giovani svenduti o lasciati in prestito vengono i brividi: Bardi, Donati, Caldirola (per anni capitano dell’under), Dancan, Coutinho, Castaignos, Destro, Livaja, solo per citarne alcuni, fatto partire gente come Eto’o, Maicon, per sostituirli con Pereira, Kuzmanovic, Forlan, Schelotto, avrei citato anche Jonathan e Alvarez, se non ci fosse stato il miracolo che ha fatto Mazzari, nel trasformarli. A proposito appello a Mazzarri al costo di cambiare modulo, insisti con Kovacic!
Il Milan invece da anni fa mercati incomprensibili oltre ad aver impoverito in maniera vergognosa la squadra in tutti i suoi reparti, ogni tanto piazza un colpo che pare essere fatto più per ragione di marketing che per altro ( Balotelli e Kaka ), per poi rivenderli dopo un anno. Ha regalato gente come Pirlo, cacciato Seedorf per rimpiazzarli con De Jong e Muntari.
Il futuro non appare così roseo, leggendo le prossime manovre. Si preparano ad uno scontro per D’ambrosio, l’esterno del Torino, il Milan tenterà di fare lo scambio Nocerino Burdisso con la Roma, da aggiungere agli acquisti di Honda e Ramì. Se riescono a vendere Balotelli ( tutto dipende da Raiola ) forse prenderanno un nome accattivante, ma molto probabilmente inutile ( spero per i rossoneri che non sia Sneijder ).
L’Inter sta proseguendo il suo autoridimensionamento, venduto Guarin, diciotto milioni dal Chelsea, notizia di oggi è che anche il nome di Kovacic sia sul taccuino dei grandi club europei. Ora se tu vendi i tuoi migliori prospetti, per prendere, bene che ti vada, e strapagandoli, un altro mediano ( Naingollan ) e una punta esterna (Lavezzi forse? ), da tifoso ti cadono le braccia ( o magari in casa dei tifosi nerazzurri si sentiranno tanti tonfi di … che cadono desolate a terra ) lo scoramento sarebbe maggiore se questi giocatori fossero rimpiazzati da Menez e dal Bianchi di turno.
Spero che tutte queste previsioni di mercato siano errate, che le due società riescano a sorprendere i loro tifosi. Del resto se non fosse così ci si chiederebbe perchè un miliardario indonesiano  abbia investito nel calcio, per comprare Menez vendendo i migliori?
E quale sarebbe il nuovo corso del Milan di Barbara Berlusconi?
Auguriamoci che sia un mercato di rafforzamento quello di gennaio e non di indebolimento per le squadre italiane.
Inter Milan non può diventare un Bologna Cagliari qualsiasi, con tutto il rispetto per queste due grandi Provinciali del calcio italiano.

Prima si diceva poveri ma belli, adesso il detto è cambiato in pieni di debiti e brutti.

mercoledì 11 dicembre 2013

La Champions e l'Italia


Valutare i risultati conseguiti dalle squadre Italiane in Champions è abbastanza intricato, se ne potrebbero trarre diverse conclusioni.
La domanda che ci poniamo è il calcio italiano è lo specchio del momento che il nostro Paese sta vivendo?
Rispondiamo a questa domanda aiutandoci con l’analisi delle tre squadre impegnate in Champions:
Juventus: aveva un girone, non impossibile, anzi arrivare seconda era alla sua portata. Doveva perdere al Bernabeu pareggiare la partita in casa col Real, vincere le due con la squadra danese vincere la partita in casa contro il Galatasaray e strappare il pareggio poi nell’ultima partita sempre contro i turchi.
Sembra facile detto così, il calcio è imprevedibile, la palla è rotonda, il terreno alle volte fangoso, la neve il sole eccetera.. Però se non si riesce a superare una squadra turca e una danese, cosa si pretende poi? Di battere il Barcellona in finale?
Analizzando i risultati della Juventus, ne deduciamo che il calcio italiano si sia involuto, non dico che siamo alla pari del calcio turco, ma abbiamo fatto tanti passi indietro. La squadra di Torino è la prima della classe nel nostro campionato, è la squadra più solida, con più campioni. Ma è anche quella che in Europa ha deluso di più.
Milan: è quella delle tre che come gioco ha deluso più di tutte. Paradossalmente è l’unica squadra italiana ad accedere agli ottavi. Ma onestamente il suo girone era ridicolo, doveva solamente perdere le due gare col Barcellona, e stravincere le altre. Il Celtic è una squadra materasso, l’Ajax, un gruppo di giovani promettenti che si muove bene in campo. Qualificarsi all’ultima partita giocando in casa col patema d’animo, una partita patetica, fa rabbrividire tutti i vecchi cuori rossoneri, ricordando quelle squadre che in passato, ma non poi così lontano, si sarebbero sbranate in due minuti gli undici scolari olandesi.
Napoli: il caso del Napoli è diverso, non si può che fare i complimenti alla squadra. Infatti esce con gli applausi dei tifosi dal San Paolo. Non qualificarsi con dodici punti a pari merito con la prima per la differenza reti è dura da accettare.. Era delle tre quelle che aveva meno chance di passare il turno, si è trovata in un girone di ferro con la finalista della passata stagione e la prima della Premier. Al Napoli non si può che fare i complimenti e un in bocca al lupo per il campionato.
Da questo quadro possiamo fare dei riscontri con l’attuale stato di salute del nostro Paese? Il calcio possiamo dire che sia il termometro o lo specchio del momento che stiamo vivendo.
Il problema delle squadre italiane, non è solamente una questione economica, di capitali, ma anche manageriale, di strutture, di marketing.
Partiamo dalle strutture, abbiamo impianti obsoleti, non adatti al calcio come show, le nostre società non ricavano nulla dagli impianti sportivi. Bisognerebbe spendere qualche parola un  giorno sul modello dello Juventus Stadium, troppo pompato dai media. Non assicurano gli incassi che invece hanno le squadre inglesi tedesche e spagnole. Il nostro calcio non tira più, si è impoverito. Purtroppo certi padroncini hanno rovinato il campionato, c’è troppa politica.
Abbiamo un management scarso, pensate ai milioni buttati in questi anni da Juventus  Inter e Milan. Insomma farsi scappare ad esempio, un campione come Drogba per prendere certi brocchi fa rabbrividire.

Però pensiamo al Napoli che ha messo cuore e grinta, ha fallito ma ne è uscito a testa alta. Abbiamo tanti difetti, ma siamo coriacei, potrebbe essere per tutti noi uno spunto a non mollare.

lunedì 9 dicembre 2013

Dal BLOG DI FRANCO ROSSI:LA STORIA DI JOAO SALDANHA, IL PIU’ GRANDE ALLENATORE DELLA STORIA DEL CALCIO, L’UOMO CHE AMAVA I NUMERI DIECI. NON ERA SOPPORTATO DAI DITTATORI PERCHE’ CONFESSO’ DI ESSERE COMUNISTA E SOVVERSIVO E DI AVERE IN SQUADRA TRE COPPIE GAY. ERA IL BRASILE DEL 1970, LA SQUADRA PIU’ FORTE DI OGNI EPOCA.

RIPROPONGO PER I PIU’ GIOVANI UNO DEI CAPITOLI PIU’ INTERESSANTI DEL MIO LIBRO “PERDA IL MIGLIORE” RIGUARDA L STORIA DI QUELLO CHE IN OGNI PARTE DEL MONDO VIENE CONSIDERATO DAGLI
STORICI (ME COMPRESO) IL MIGLIORE ALLENATORE DELLA STORIA DEL CALCIO.
SI CHIAMAVA JOAO SALDANHA E QUESTA E’ LA SUA STORIA. NE CONSIGLIO VIVAMENTE LA LETTURA.
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DI FRANCO ROSSI

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Il suo Brasile giocava con 5 numeri 10 in attacco, fu esonerato alla
viglia del Mondiale 1970 perché era comunista.
Sulla panchina del Brasile tri-campione in Messico c’è Mario Zagalo
perchè a pochi mesi dal Mondiale il presidente Medici e la sua
giunta militare fascista hanno esonerato Joao Saldanha, reo di non
essersi allineato e, sopratutto di esse comunista.
Questa è la storia dell’uomo che ha ideato, selezionato, allenato e
ispirato il Brasile ’70, la più forte squadra di ogni tempo, una
squadra che nelle dodici partite (tra qualificazioni
ed eliminatorie) ha ottenuto altrettante vittorie.
Una storia che nasce da conversazioni avute con Saldanha, da articoli che ha
scritto (era anche giornalista) e da un libro di Joao Maximo.
Joao Saldanha è morto a Roma, durante i Mondiali del 1990, a 74
anni.
Qualche giorno più tardi sicuramente si è presentato a San Pietro
spiegando chi era stato in vita.
“Fui contrabbandiere di armi a sei anni, quando passavo il confine
tra Paraguay e Brasile nascondendole sotto il grembiule.
Leader studentesco a 20 anni, apprendista notaio a 33, membro del
Partito Comunista Brasiliano tutta la vita.
Fui anche giocatore e tecnico di football, campione di basket,
giornalista, commentatore di radio e televisione,
analista di scuola di samba, scrittore, co-autore di enciclopedia,
attore di cinema, candidato a vice sindaco.
Partecipai alla Grande Marcia con Mao, sbarcai in Normandia con
Montgomery, mi sono sposato cinque volte, litigai molto e quasi mai
ebbi la peggio.
Assistii a tutte le Coppe del Mondo, Di me dicono che fui un grande
e contradditorio personaggio. Lucido e confuso al tempo stesso.
Intelligente e ingenuo, gentile e collerico, giusto e assurdo.
Il migliore degli amici e il peggiore dei nemici.
Un appassionato della verità che ha camminato sopra le nuvole della
fantasia.
Posso entrare in Paradiso?”
Faceva il giornalista e gli dissero: fai vincere il Mondiale al
Brasile…
Nel 1968 il calcio in Brasile è in pieno caos.
Dopo la sconfitta nel Mondiale di due anni prima Joao Havelange
(all’epoca presidente della Federcalcio brasiliana) mette a capo
della commissione tecnica Paulo Machado de Carvalho, ruolo ricoperto
nelle due felici spedizioni di Svezia
e Cile e poi messo da parte dallo stesso Havelange per questioni
commerciali (i due erano soci in una azienda di trasporti).
Senza Carvalho il calcio brasiliano, a livello di nazionale,
sprofonda nell’assurdo.
Al momento di convocare i giocatori per il Mondiale del 1966 Feola
viene convocato a Rio e davanti ai presidenti delle più grandi e
ricche società è costretto a fare i nomi dei calciatori prescelti.
Quello del Flamengo sbraita: “Se Maurilio sta fuori la torcida farà
la rivoluzione”. “Come, non chiami Paranà?” urla il rappresentante
del San Paolo.
Quando Feola arriva a ventun nomi e ne manca soltanto uno, gli si
avvicina il presidente del Corinthians e gli sussurra in un
orecchio: “La ma società è troppo grande per non avere un giocatore
ai Mondiali”.
Feola guarda il presidente e gli chiede chi secondo lui merita di
essere convocato. “Ditao, che sta giocando alla grande” è la
risposta.
Feola chiede allora qual’è il nome completo di Ditao.
I nomi dei convocati sono: Edson Arantes do Nascimento, Hilderaldo
Luis Bellini, Josè Ely de Miranda, per Ditao non si può fare
un’eccezione.
Il presidente del Corinthians se ne torna a San Paolo tranquillo sul
fatto che Ditao sarà tra i ventidue.
Feola chiede alla segreteria dell Federazione il nome completo di
questo sconosciuto Ditao e l’impiegato, completamente disinformato,
telefona al Flamengo, dove gioca un Ditao che è il fratello di
quello che c’è al Corinthians.
E’ così che Feola inserisce nei ventidue che prenderanno parte ai
Mondiali del 1966 (dove non giocherà mai) il Ditao sbagliato.
Soltanto chi non conosce bene il Brasile di quei tempi (ma anche
oggi stranissime cose laggiù possono accadere…) può pensare che
questo aneddoto sia inventato.
E’ comunque registrato in vari libri (es: “Subterraneos do futebol”
e “O anjo torto”).
Nel 1968 dunque Carvalho è chiamato a creare la Commissione
Selezionatora Nazionale, subito chiamata Cosena.
In Brasile c’è la dittatura militare e i militari, si sa, amano le
sigle.
Joao Havelange ha in mente di dare una struttura militare alla
federazione perchè pensa che anche il calcio deve adeguarsi al
momento socio-politico.
Pensa a Joao Saldanha, che in passato ha
fatto mille mestieri, tra i quali l’allenatore e che al momento fa
il giornalista.
Critica, ricorderà poi lo stesso Havelange, ma in modo costruttivo,
ponderato e obiettivo.
Quando ne accenna a Saldanha, questi risponde: è un invito o un
sondaggio?
Il giorno dopo Saldanha, che aveva accettato, ma non aveva detto
nulla ai suoi colleghi de “Ultima Hora”, esce dalla redazione
assieme a un fotografo al qualche chiede:
dove vai?
“Alla federazione, presentano il nuovo selezionatore”.
Sai chi è? “No” è la risposta del fotografo.
E quando, alla conferenza stampa, Havelange rivela che chi guiderà
il Brasile in Messico è Joao Saldanha, questi si alza e va a sedersi
al centro del tavolo presidenziale.
“Questi gli undici titolari e queste le undici riserve tra due anni
in Messico…”
I giornalisti presenti sono sbalorditi e increduli.
Prima d’ora una cosa del genere non s’era mai vista…
Saldanha mette una mano in tasca, tira fuori un foglietto di carta e
comincia a parlare:
“Cari colleghi, so che in passato gli altri selezionatori hanno
prima fatto una lista di quaranta o cinquanta nomi di convocati e
soltanto a due mesi dai Mondiali hanno reso noto i ventidue da
comunicare alla Fifa.
Adesso mancano quasi due anni ai Mondiali e io vi comunico
ufficialmente gli undici titolari e le loro rispettive riserve”.
Un’autentica bomba, i giornali, le radio e le televisioni hanno da
sbizzarrirsi all’infinito.
Nel 1969 il Brasile di Saldanha gioca le
sei gare di qualificazione e le vince tutte.
Centocinquantamila torceadores al Maracanà cantano l’inno nazionale
tutti assieme, in un momento in cui molta gente pensa che cantarlo
significhi in qualche maniera appoggiare la dittatura.
Saldanha sceglie i migliori e dà a tutti una ricetta fatta di buon
senso e semplicità:
“Quattro uomini sulla stessa linea vanno bene solo per le parate
militari”,
“Nessuno è proprietario di una zona del campo, non esistono
posizioni fisse”.
Tutte affermazioni che anche oggi appaiono moderne, talmente moderne
che i cosidetti inventori del Calcio del Duemila, le combattono
ancora.
Un sondaggio rivela subito che Saldanha è popolarissimo.
A Rio il 78% della popolazione lo appoggia, a San Paolo il 68%.
Mai nella storia del calcio brasiliano un selezionatore ha riscosso
(nè riscuoterà in futuro) un simile trionfo.
Troppo moderno per essere amato: per lui contavano solo i campioni
Il Brasile oltre alle partite di qualificazione vince anche grandi
amichevoli, ad esempio c’è un 2-1 contro i campioni del mondo
inglesi al Maracanà con 160mila spettatori.
Al termine dell’incontro Ramsey invita Saldanha in Inghilterra. Joao
accetta e prima di andare a Londra passa per la Germania.
Ad Amburgo è ospite di un popolarissimo programma televisivo e alla
domanda: cosa ne pensa del genocidio degli indios in Amazzonia?
dà una risposta che per poco non trasforma lo studio televisivo in
un ring di pugilato: “In 469 della storia brasiliana abbiamo ammazzato meno persone di
voi tedeschi in dieci minuti di una delle troppe guerre che avete
fatto”.
A Londra è ospite della Bbc assieme a Ramsey che svolge il ruolo di
intervistatore.
I problemi che noi europei troveremo in Messico non deriveranno
soltanto dall’altura, ma anche dagli arbitri e dai guardialinee
sudamericani…
“E perchè?” la replica di Saldanha.
Perchè i sudamericani in genere non sono onesti…
“E gli inglesi lo sono?”
Certamente…
“E allora se gli inglesi sono così onesti, a cosa si deve la fama di
Scotland Yard?”
Ma all’inizio del 1970 cominciano i primi problemi per Saldanha.
In quella squadra c’erano tre coppie gay e circolava droga
Il generale Emilio Garrastazu Medici, presidente del Brasile lancia
una campagna contro i giovani universitari che vogliono maggior
libertà, perseguita i comunisti e quando il ministro dell’Educazione, Jarbas
Passarinho viene a sapere che Saldanha è un seguace di Stalin e di
Mao, dà ordine al capitano dell’esercito Claudio Coutinho (che sarà
selezionatore del Brasile ai Mondiali del 1978 in Argentina) di
riferire al presidente Medici che la nazionale brasiliana
è nelle mani di un uomo che è in totale disaccordo con le idee della
rivoluzione militare, nelle mani di un sovversivo bolscevico.
Non si sa come finì il colloquio tra Coutinho e Medici, di sicuro
c’è che il presidente cominciò a rilasciare dichiarazioni nelle
quali parlava sempre più di calcio.
E ad un certo punto disse in televisione che se fosse stato lui il
selezionatore, in Messico avrebbe portato Dario, centravanti
dell’Atletico Mineiro di Belo Horizonte.
Saldanha durante le partite di qualificazione aveva rilasciato
interviste che non erano piaciute certamente alla giunta militare
fascista e razzista.
Ad esempio aveva detto: “Nel calcio i migliori hanno la pelle
colorata. Sono veloci, leggeri, abili e hanno inventiva.
Di Stefano e Puskas sono stati calciatori favolosi, ma nessuno di
loro sarebbe capace di realizzare un dribbling senza palla come Pelè
o una prevedibile e imprevedibile al tempo stesso discesa sulla
linea destra come Garrincha.
Sono più veloci dei bianchi perchè i loro trisavoli africani sono
rimasti vivi sfuggendo ai leoni affamati.
I negri non emergono nel nuoto perchè per loro le piscine sono
sempre chiuse”.
Saldanha difende anche le sue teorie sopra l’omosessualità e la
droga.
Qualche anno più tardi avrebbe dichiarato (e scritto) che metà della
squadra che vinse i Mondiali del 1970 aveva provato, almeno una
volta, marijuana, cocaina o altre droghe.
Aggiunse inoltre che in quella squadra c’erano almeno tre coppie
gay.
E’ chiaro che a mano a mano che si avvicinavano i Mondiali qualcuno
doveva sollevare Saldanha dall’incarico, anche perchè ad una
televisione di Porto Alegre, alla domanda:
lo sa che il presidente Medici vorrebbe Dario in nazionale?
lui risponde: “Il presidente scelga i ministri e lasci stare le cose
serie…”
E’ Joao Havelange che lo ha chiamato, è lo stesso Havelange che lo
deve cacciare, dopo 406 giorni.
Il fatto avviene il 17 marzo 1970, un martedì. Il giorno successivo
al suo posto è chiamato Zagalo.
E la prima cosa che fa Zagalo è quella di convocare Dario e di
portarselo in Messico.
Dove non giocherà nemmeno un minuto.
La squadra che vince il Mondiale è la stessa indicata da Saldanha
nella sua prima conferenza stampa da cittì, due anni prima, nel
1968.
FRANCO ROSSI
FONTE www.francorossi.com